una foto di Tarkovskij

Andrej Tarkovskij

Un grande regista russo del '900

Andrej Rublëv

info

«presentato fuori concorso al Festival di Cannes 1969. Il film (...) non piacque alle autorità sovietiche che, vedendo in quella Russia descritta dal film una metafora di quella contemporanea, ne ritardarono l'uscita su ampia scala al 1971.» (Wikipedia)

una scena del film
una scena del film

Un film splendido, il cui messaggio mi pare sia: l'uomo non si salva con le sue mani. Lo si vede già dalla prima scena, col tentativo di volare con una mongolfiera, che fallisce. L'uomo non ce la fa: e il regista ambiente la scena nella pioggia, simbolo di contrarietà (di negatività). Piove anche nella scena finale: il male c'è, e l'uomo da solo non ce la fa.

Il giovane Andrej Rublev si illude che gli esseri umani siano buoni, è generoso e buono. Ma soprattutto l'esperienza della violenza dei Tartari, oltretutto chiamati da un nobile russo (un odioso tradimento), una violenza che lo costringe a diventare lui stesso violento (uccide per salvare una poveretta, a cui si era castamente affezionato), lo convince della potenza del male e lo spinge a rinunciare non solo a dipingere, ma anche a parlare.

Sarà solo l'esperienza della costruzione di una grande campana da parte di un ragazzetto (orfano di un costruttore di campane), che finge di saper come fare e in effetti riesce nell'intento, ma non per suo merito, a convincerlo che, sì, il male c'è, ma Dio è più potente e pensa Lui a guidare la realtà, oltre la nostra debolezza.