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la bellezza nella musica

il mistero della musica

La realtà finita, a differenza di quanto il teismo pensa del Mistero infinito, che è per natura Uno (o meglio Unitrino, per quanto la nostra conoscenza di Lui sia assolutamente imperfetta) è molteplice: essa si “squaderna” nello spazio e nel tempo. Lo spazio e il tempo separano le cose finite, le realtà finite: se sono qui, non posso essere altrove; se sono adesso non sono nel passato né nel futuro. Il Mistero invece è assolutamente Presente, e tutto Gli è presente, sia spazialmente sia temporalmente.

Le arti figurative (pittura, scultura, architettura) hanno a che fare con lo spazio, con uno spazio detemporalizzato. La musica invece ha a che fare con il tempo, con un tempo despazializzato: una sinfonia si dispiega nel tempo, un movimento dopo l'altro, una battuta dopo l'altra, una nota dopo l'altra. C'è, e non può non esserci, un prima e un poi: le è essenziale dispiegarsi nel tempo. Sarebbe inimmaginabie ad esempio una sinfonia eseguita condensandola tutta in un solo istante, mentre un quadro è temporalmente fermo. È lì, e (di per sé) non si muove.

Ma qualsiasi arte esprime in qualche modo la realtà finita, sensibile, ne porta alla luce in qualche modo (non concettualmente) il senso nascosto, il senso profondo normalmente nascosto.

Il nesso tra arte e realtà finita, materiale, sensibile, è più evidente nel caso delle arti figurative: il quadro di un paesaggio ha un evidente legame con il paesaggio che lo ha ispirato, anzi che esso in qualche modo “ritrae”, esprimendone un senso profondo che ai più sfugge.

Ma nel caso della musica? Se si tratta delle parole che possono accompagnare la musica (nel caso della musica lirica, o di quella leggera, o della Nona di Beethoven) il nesso è ancora evidente. Ma la pura musica in quanto tale che realtà esprime? Di che realtà è espressione? La realtà in quanto si dispiega nel tempo, si può ipotizzare. E soprattutto quella realtà, dispiegata nel tempo, che è la vita umana, o almeno la realtà umana.

I pitagorici pensavano che la musica avesse una funzione terapeutica. E non a torto. Ma si può estenderne la portata e ipotizzare una funzione più ampia, comune del resto a qualsiasi arte, anzi a qualsiasi produzione culturale, nella misura in cui essa è autentica: si può ipotizzare una funzione pedagogica della musica.

Essa educa in generale alla pazienza: non si può avere tutto subito, come sarebbe nostra tentazione costante pretendere. La musica si dispiega nel tempo, come la vita. Quindi occorre pazientare perché ogni cosa si sviluppi a suo tempo.

Poi la musica può esprimere, e quindi mettere in rilievo, aspetti della vita che noi tenderemmo ad appiattire: la gioia e la tristezza, la paura e la speranza, la fatica ed il riposo.

La musica classica li esprime in genere nel loro alternarsi: ad esempio nei concerti di Mozart è ricorrente un primo movimento più “ingenuamente lieto”, un secondo più “pensoso”, se non malinconico, e un terzo e ultimo tempo di “maturamente” (/“consapevolmente”) “lieto”. Si potrebbe vedere in ciò qualcosa di in qualche modo analogo allo scandirsi della dialettica hegeliana di tesi, antitesi e sintesi, o magari anche allo scandirsi di misteri gaudiosi (e della luce), dolorosi e gloriosi (incarnazione, passione e resurrezione del Verbo incarnato). La vita insomma ha una originaria attrattiva, che viene poi inevitabilmente contrastata da del negativo, per giungere infine, se l'atteggiamento è giusto, a una salvezza finale.

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Proposta di brani musicali (classica, lirica, leggera, inni nazionali) in formato MIDI (ossia un formato estremamente "leggero", la "pura ossatura" melodica e ritmica, in cui va persa parte della ricchezza del suono "naturale").