ritratto di Ignazio Silone

Silone: Una piccola croce

Un «cristiano senza Chiesa», così si definiva l’autore, tra l’altro, de Il segreto di Luca. Il rapporto tra il dolore e l’ingiustizia umana e il sacrificio di Gesù di Nazareth

Si è molto discusso sul caso Silone, il romanziere neorealista, autore di opere di successo, circa una presunta sua attività di spionaggio contro quel Pci, del quale era stato negli anni giovanili e in quelli dell’esilio svizzero un esponente di spicco. Egli, del resto, amava definirsi «socialista fuori dai partiti», dal momento in cui, a causa della sua denuncia della dittatura staliniana, il Partito lo ebbe espulso.
Ma Silone si definiva anche «cristiano senza Chiesa», riconoscendo così un suo legame con Cristo, che si rivela nella scelta dell’amore e della fratellanza per i poveri e i meno fortunati, che si incarna in tanti personaggi dei suoi romanzi, ma al di fuori di qualunque appartenenza.
Ho riletto recentemente Il segreto di Luca, pubblicato nel 1956 e vi ho trovato alcune pagine in cui questo legame con Cristo viene esplicitato in modo sobrio e profondo.
La storia narra di un ex-ergastolano, che torna a casa riconosciuto innocente e graziato, dopo quarant’anni di prigione. Un amico di sua madre, eroe della guerra partigiana, si appassiona alla sua vicenda e vuole scoprirne, contro l’omertà dell’intero paese, il segreto. Da bambino egli era infatti stato lo scrivano delle lettere che la madre inviava al figlio in carcere. Rievocando quel singolare incarico, che lo toglieva poco alla volta al mondo gioioso della fanciullezza, facendogli scoprire presto il dolore della vita, Andrea Cipriani racconta a Luca alcuni momenti vissuti con la povera donna analfabeta che in dialetto gli diceva ciò che poi egli avrebbe messo per iscritto.
Ecco la pagina: «L’infelice donna credeva infatti nel destino, ma non escludeva la grazia, quella di Dio e quella dei potenti. Ciò a cui ella non credeva, al punto da non valere neppure la pena di sprecarvi del fiato, era la giustizia. Naturalmente, anche per le lettere alle autorità, l’indispensabile intermediario ero io. Sotto il foglio da me faticosamente redatto, tua madre firmava con un segno di croce. Sapevo già che era la firma usuale degli analfabeti; ma, anche se ciò non fosse stato, come si sarebbe potuto immaginare una firma più consona a tua madre? Una piccola croce. Una firma più personale di quella? Ricordo che, l’anno dopo, all’esame di catechismo don Serafino mi chiese, tra l’altro, di spiegargli il segno della croce. “Esso ci ricorda la passione di nostro Signore” io risposi “ed è anche il modo di firmare degli infelici”. Il parroco osservò che la risposta non era sbagliata, ma che non era in mio potere di riformare le risposte del manuale di Dottrina cristiana».
E poco sotto: «Un paio di volte, mentre io leggevo le tue prime lettere, ella era caduta in deliquio, con mia grande paura e smarrimento. Da allora in poi, per rianimarsi ogni volta che si sentiva mancare, usava avvicinare alle narici una boccettina d’aceto. A causa di ciò, l’odore dell’aceto divenne per me l’odore dell’innocenza perseguitata. Era lo stesso aceto, pensavo, di cui era imbevuta la spugna che i legionari di Pilato avvicinarono alle labbra del Crocifisso, quando si lamentò d’aver sete» (cap. V).
Sono superflui i commenti. Ma, se ne è consentito uno, brevissimo, sia questo: è indubbia la prospettiva “umanistica” di Silone, in cui il dolore umano, l’ingiustizia subita, vengono messi in relazione con il sacrificio di Gesù, quasi che esso ne sia il punto culminante e riassuntivo. È un tema non di questo solo autore e non della sola letteratura. È presente anche nel linguaggio comune, quando per indicare una disgrazia, una prova, una sofferenza, usiamo il termine “croce”.
Tuttavia mi sembra traspaia dalle righe del racconto la fede e la devozione per una sofferenza che non è solo umana, ma che porta in sé il sigillo di ciò che, per dirla con Silone stesso, «c’è dietro ogni cosa». In vari punti del romanzo, inoltre, i personaggi affermano che solo Cristo fu innocente, non Luca, non la donna amata da lui, non quella che lo amò, tanto meno i molti che si trincerarono dietro il silenzio a proposito di quella storia disgraziata. Questa ammissione è la confessione della divinità di Gesù di Nazareth? È possibile non escluderlo.

Tratto da Tracce