una foto dello scrittore

Vassilij Grossman

Introduzione

Scrittore ebreo ucraino di lingua russa, Vasilij Semënovič Grossman (1905-1964), fu dapprima conquistato dall'ideale comunista e per qualche tempo perciò apprezzò lo stesso Stalin; ma con grande onestà intellettuale dovette poi constatare come l'ideologia che non guarda alla realtà produce orrori, e finì con giudicare lo stalinismo non molto diverso dal nazismo: di entrambi denunciò la disumanità. Senza mai cedere all'ipocrisia di pensarsi immune dal male, ma guardando con commiserazione a quali abissi l'uomo può scendere. Come dice una canzone di Claudio Chieffo (Auschwitz) «non è difficile essere come loro».

Pagò la sua onestà intellettuale con la censura della sua opera, che, quasi interamente, poté essere pubblicata solo all'estero o postuma.

la trilogia

Grossman ideò un progetto di tre grandi opere, legate tra loro: la prima è Stalingrado (1952, pubblicato però allora col nome Per una giusta causa, mentre il nome che Grossman aveva pensato era appunto quello che ha nella traduzione fattane in Occidente), la seconda è quello che è considerato il suo capolavoro Vita e destino, che avrebbe dovuto uscire nel 1961, ma venne bloccato dalla censura del regime comunista, la terza è Tutto scorre, che, trovato tra le sue carte dopo la sua morte nel 1964, venne pubblicato la prima volta a Francoforte nel 1970.

Stalingrado

Il primo volume del polittico sulla guerra e i totalitarismi, fu l'unico a poter essere pubblicato in Unione sovietica, passando il severo vaglio della censura, e ciò si spiega anche col fatto che Grossman evita in tale primo testo di criticare espressamente Stalin (come invece farà successivamente).

«Stalingrado si apre con la famiglia degli Shaposhnikov e i loro amici riuniti a una festa. [...] Il romanzo mescola la grande storia con i destini di tanti individui comuni. Inizia nell’aprile 1942 quando il treno di Mussolini entra nella stazione di Salisburgo, dove Hitler è in attesa di discutere una grande offensiva tedesca nella Russia meridionale. Segue raccontando la storia del semplice contadino russo Vavilov, che ha appena ricevuto i documenti per la convocazione alle armi e si preoccupa di non avere abbastanza tempo per lasciare la sua famiglia con la legna per durare tutto l’inverno. “Un contadino che lascia il suo villaggio per la guerra non sogna medaglie e gloria”, riflette Vavilov. “Sa che probabilmente sta per morire”.

Anche nei capitoli dedicati al nemico, sia che riguardi Hitler e i grandi generali che i soldati semplici, Grossman utilizza la lente della compassione per descrivere l’umanità con le sue virtù e difetti che caratterizza questi uomini, malgrado la loro profonda malvagità. Lo scrittore intende esprimere l’esaltazione di una “guerra popolare” in cui “grandi imprese possono essere compiute da persone semplici e comuni”: rende omaggio sia al sacrificio individuale che a quello collettivo che ferma l’avanzata nazista: "Chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla, questa verità". Attenendosi scrupolosamente a questo principio, a dispetto della censura e dei gravi rischi, Vasilij Grossman narrò in presa diretta le vicende del secondo conflitto mondiale sul fronte Est europeo. Stalingrado è un racconto biografico e polifonico di una guerra tremenda ed eroica, un’alternanza continua di dolori, orrore e gioie, illusioni e disincanto.

Dei soldati, provenienti dalle nazionalità più varie, interpreti e specchio della “spietata verità della guerra”, Grossman ci mostra le paure (fino ai numerosi atti di autolesionismo), gli eroismi, e persino la bestialità di alcuni che la guerra trasformò in predoni e violentatori. Un’opera che ci permette di ricostruire, al di là della retorica, la “Grande Guerra Patriottica” sovietica, l’esperienza umana fondamentale nella vita di Grossman (come di moltissimi sovietici). Da essa prese avvio la sua presa di coscienza critica e un percorso letterario che farà di Grossman uno dei più grandi scrittori russi di tutti i tempi e un lucido accusatore degli orrori dello stalinismo e dell’antisemitismo.» tratto da “Vita e destino di Stalingrado di Vasilij Grossman” di Francesco M. Cataluccio, sul sito Gariwo.

Vita e destino

Nel suo monumentale capolavoro Grossman dipinge con realismo intessuto di pietà per l'umanità la tragedia della guerra voluta da ideologie che non guardano alla realtà e danno vita a totalitarismi, il nazismo e lo stalinismo, che solo apparentemente si oppongono, ma sono profondamente simili.

Perciò non vale il preteso Grande Bene ideologico, ma il piccolo bene che nasce spontaneamente dalla quotidianità dell'uomo.

Si veda questa pagina dedicata specificamente a Vita e destino.

Tutto scorre

Nell'ultimo “quadro” del polittico di Grossman dà un giudizio ancora più chiaro e articolato dello stalinismo. Cito ancora:

«Il libro, per certi versi, può essere considerato il “seguito” di Stalingrado e Vita e destino: pur nella sua diversità e con altri personaggi, completa la “trilogia” e rappresenta l’evoluzione dalla narrazione della guerra eroica fino alla consapevolezza del disastro di un sistema oppressivo che, anche nella conduzione stessa della guerra, sacrificò migliaia di uomini senza preoccuparsi del valore della vita umana. Un romanzo-testamento che pare seguire il modello del romanzo-saggio Viaggio da Pietroburgo a Mosca (1790) di Aleksandr Nikolaevič Radiščev (1749-1802), che per la sua condanna del dispotismo fu considerato dall'Imperatrice Caterina II più pericoloso di una guerra persa. Tutto scorre ha l'azione ridotta al minimo e dà origine a riflessioni di ordine morale o storico. Tema fondamentale è quello della colpa e delle responsabilità dei sopravvissuti nei confronti delle vittime dei regimi totalitari. Grossman narra la storia di Ivan Grigor'evič che, dopo la morte di Stalin, ritorna in libertà, dopo aver trascorso trent'anni nei Gulag sovietici.

Non riesce a riambientarsi né a Mosca né a Leningrado (dove, tra l’altro, si imbatte in un certo Pinegin: un compagno di università che lo aveva denunciato e che ora è un agiato burocrate). Ivan Grigor'evič si stabilisce infine in una piccola località della Russia meridionale dove trova lavoro come fabbro, specialità appresa a suo tempo nei lager, e si innamora di una povera vedova di guerra, Anna Sergeevna. I ricordi di Anna Sergeevna permettono di descrivere i terribili anni della collettivizzazione, dello sterminio dei kulaki e della carestia in Ucraina, provocata del regime sovietico e che provocò 5 milioni di morti agli inizi degli anni trenta.

Nel finale, Grossman fa considerazioni sulla storia millenaria della Russia, sulla non-libertà del popolo russo, sulla fondazione di uno Stato onnipossente e illiberale la cui responsabilità nel romanzo è attribuita, come si è visto, a Lenin prima che a Stalin. La vita di Ivan Grigor'evič si concluderà sulle coste del Mar Nero, dove sorgeva l’abitazione di suo padre. Questo libro conclude così un lungo racconto e riflessioni che sono forse, oltre ai grandi meriti letterari, la più lucida e feroce critica dell’Unione sovietica, come continuazione ed esaltazione del dispotismo russo. Grossman si chiese: “Le sofferenze umane saranno ricordate nei secoli a venire? O le lacrime e la disperazione svaniranno come il fumo e la polvere, spazzati via dal vento della steppa?”.» dalla pagine di Gariwo già citata

Il bene sia con voi

Il libro è una silloge di diversi scritti di Grossman. Nella prima parte troviamo dei racconti ambientati storicamente, come è tipico dell'autore, per lo più in riferimento alla Seconda Guerra mondiale. In essi è a tema la drammatica alternativa tra una disumanità che astrae dalla realtà, giungendo a un cinismo violento, da un lato, e l'umanità che sa perdonare e sacrificarsi, dall'altro. Così nella Madonna sistina egli ammira l'umanità della Vergine (e del Bambino), che non distoglie lo sguardo dalla realtà nella sua interezza, anche cruda e crudele:

«Ella offre il bambino alla sua sorte, non lo nasconde. Né il bambino nasconde il viso nel seno della madre. Fra poco lascerà le sue braccia e andrà incontro, scalzo, al suo destino.»

Il male ha una grande parte nella vita, riconosce Grossman, come nel racconto “Mamma”, dove si racconta una straziante storia di disumanità dell'epoca staliniana, dove l'ipocrisia degli adulti, pietrificati e disumanizzati dal terrore del tiranno, non risparmia nemmeno l'innocenza infantile. Ma la solidarietà tra gli innocenti che soffrono, adombrata simbolicamente nell'amicizia tra un mulo e un cavallo utilizzati durante la guerra, e a cui l'autore attribuisce pensieri e sentimenti umani, allevia e addolcisce un dolore altrimenti totalmente assurdo.

La seconda parte del libro racconta autobiograficamente l'esperienza dell'autore in Armenia, dove si recò in quanto traduttore dell'opera di un letterato armeno, Martirosian. Lo sguardo dell'autore al popolo armeno è pieno di una simpatia non melensa o idealizzante, ma totalmente determinata dalla realtà che egli ebbe modo di incontrare, di un popolo povero ma dignitoso. Un popolo certamente non perfetto, ma che sa guardare in faccia la realtà, in cui gioia e dolore, tenerezza e durezza, sono egualmente presenti e non censurati. E, sulle differenze nazionali (tra russi e armeni, nella fattispecie) domina la comune umanità:

il carattere nazionale esiste, certo, ma non è il fondamento della natura umana, bensì il suo colore, il modo in cui essa risuona. 

Così l'autore può concludere il libro con una esaltazione della comune essenza dell'uomo:

«Barev dzes [tipico saluto armeno] – il bene sia con voi, armeni e non armeni!»

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