ritratto di Eliot

Th. S. Eliot

pubblicato su Tracce 03/1980

Eliot (1888/1965) è a nostro modesto avviso uno dei più grandi poeti del '900, ma si può dire dell'intera storia della letteratura mondiale.

La sua opera narra di una conversione pensosa e sofferta, da un atteggiamento di disperazione al cattolicesimo, in cui l'uomo può ritrovare il significato buono della sua esistenza, personale e collettiva.
Alla raggiunta profonda religiosità cattolica, unì capacità organizzative e imprenditoriali. Anche per tale sua "mondanità", il baricentro della sua opera poetica non è solo né soprattutto l'individuo nella sua intimità soggettiva, quanto piuttosto la complessa trama dell'umano, visto nei suoi risvolti interpersonali. Ne emerge un grandioso affresco in cui confluiscono, alla luce della scelta nei confronti del Destino ultimo, tutti gli aspetti dell'esistenza umana, personale e collettiva, compresi la storia l'economia e la politica.

1) La percezione del dramma umano

E' descritta genialmente ne La terra desolata (1922), il cui esergo riporta significativamente il desiderio della Sibilla

io stesso, coi miei occhi, vidi la Sibilla (...) rispondere a ragazzi -che le chiedevano "qual è il tuo desiderio più profondo?"- "Morire, desidero"

In questo poema predomina l'aspetto della condanna del negativo: la civiltà moderna si nutre di illusioni e di ipocrisia, la sua censura sulla domanda del significato ultimo genera angoscia e disumanità; al termine del poema non sta una certezza positiva, ma una generica, fragile speranza ("Riuscirò alla fine a mettere ordine nelle mie terre?").

Più in particolare vediamo ne La terra desolata come l'uomo, incapace di cogliere il senso della sua vita, non sappia essere serio e dignitoso con la morte, il cui mistero cerca di eludere "seppellendolo": ("Quel cadavere che l'anno scorso piantasti nel tuo giardino, ha cominciato a germogliare? Fiorirà quest'anno? Oppure il gelo improvviso ne ha danneggiato l'aiuola?"), non sa accogliere l'altro e dialogare con lui (cfr. la seconda stanza, Una partita a scacchi), nè sa vivere dignitosamente la propria affettività (cfr. la terza stanza, Il sermone di fuoco, vv. 215/59). Non solo gli individui, ma la stessa città degli uomini nel suo insieme appare "desolata" e squallida: la città è "irreale" (v. 207). Nella penultima stanza, Morte per acqua, Phlebas, marinaio fenicio morto annegato ricorda all'uomo l'inevitabile passaggio della morte.
Grandiosa l'ultima stanza, Ciò che disse il tuono, in Eliot mescola risonanze evangeliche con temi tratti da culture extraeuropee (l'India in particolare). Spietato è l'esame di coscienza dell'umanità occidentale: l'allontanamento da Cristo, che Eliot non nomina, ma che campeggia fin dall'inizio come il Sofferente (nell'Orto degli Ulivi: after the torchlight red on sweaty faces, 322), ha reso invivibile l'esperienza personale

"qui non c'è acqua ma soltanto roccia" (v. 332)
"fra la roccia non si può fermarsi nè pensare"
"non si può stare in piedi qui, non ci si può sdraiare nè sedere
non c'è neppure silenzio tra i monti
ma secco sterile tuono senza pioggia"

e collettiva:

"chi sono quelle orde incappucciate che sciamano su pianure infinite [...]
Gerusalemme, Atene, Alessandria,
Vienna, Londra
irreali"

2) L'aprirsi di una via d'uscita

Squarci di luce di aprono invece ne Il Mercoledì delle ceneri (1930), nonostante il permanere di pesanti ostacoli ("Benché non speri di tornare ancora"): "e il cuore perduto si rinsalda e allieta".

Il poema si chiude con una invocazione: "a Te giunga il mio grido".

3) La certezza del positivo

Nei Cori della Rocca la risposta positiva si fa compiuta, ed è riconosciuta nel Verbo, in Gesù Cristo, quale la Chiesa cattolica lo comunica agli uomini.

I cori della Rocca sono una delle più impressionanti documentazioni della capacità eliotiana di nutrire la poesia di elementi di giudizio sulla civiltà. Il poema inizia con una dura denuncia del vuoto creatosi nell'Europa moderna, che si è allontanata da Cristo: l'affanno degli uomini, che inseguono falsi ideali, non è loro di alcuna effettiva utilità e li conduce a trascurare ciò che davvero conta, ciò che sempre resta (1a stanza).

Nella seconda stanza, in cui si articola più dettagliatamente la raffigurazione della parabola discendente della modernità, è significativo il richiamo alla Chiesa, alla comunità ecclesiale, condizione perché l'uomo ritrovi sé stesso ("non esiste vita se non nella comunità, e non esiste comunità se non in lode di Dio").

Nella terza stanza l'attenzione si incentra sullo stesso Verbo di Dio, che richiama alla radice prima di ciò che avviene: oltre le analisi sociologiche e politiche, la sostanza ultima di tutto è l'appartenenza a Lui.

Tornare a Lui, verità ultima di tutto, è comunque sfidare il mondo, e chiede disponibilità alla lotta e al martirio: "pensate che i leoni non abbisognino più di guardiani? (...) Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? (..) Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare." (6a stanza).

E se la nostalgia del poeta e la sua passione effettiva sono tutte volte a far sì che la civiltà torni ad essere permeata dal lievito cristiano, nondimeno il poema si chiude con una ultima, pacificata, invocazione alla "Luce", che mai può abbandonare l'uomo. Non è dunque l'affannosa ricerca di una nuova situazione sociale o politica, un progetto dipendente dall'esito, ma il filiale abbandono a Chi regge tutto ("non cercate di contare le onde future del Tempo, ma siate soddisfatti di avere luce abbastanza per trovare il passo giusto", 10a stanza). Più grande di tutte le preoccupazioni, più forte dell'incerto esito di un progetto anche buono, domina questa lode alla Luce, la cui certezza inonda e sorregge l'uomo.

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