ma anche Tolkien sa cos'è il male

(...) «Per quanto riguarda il confronto circa la natura del male affrontata dai due autori cristiani, si può affermare che non c'è nella loro posizione, nessun tipo di manicheismo: entrambi guardano (Lewis non prova un ammirazione per il lato oscuro, ma sa sapientemente analizzarlo) la stessa cosa, ma da angolature differenti, per poi dire entrambi che il male va preso seriamente.

Il male di cui parla Tolkien è ben lungi dalla mera presenza fisica di opposizione al bene (a cui il Prof Fertillo si riferisce) e richiama la concezione cristiana di peccato originale. È quindi un male da cui nessuno - nemmeno il saggio Gandalf - è immune: l'anello sembra sussurrare nel cuore di ogni nuovo portatore, la tentazione biblica di Adamo ed Eva: Tu puoi diventare come Dio.

Nel SDA Tolkien parla del male di chi ha voltato le spalle alla verità per brama di potere e di conoscenza (ad esempio Saruman), di morboso attaccamento alle cose (come Gollum), e di conseguente perdita del significato di se, fino a smaterializzarsi; ma è anche un male che guasta la bellissima natura degli elfi, deturpandola fino a trasformarla in orco, nonché la bellezza dei paesaggi naturali (basti pensare alla splendida vallata di Isengard, distrutta dal potere dell'industria di Saruman). E vengono richiamati anche due importanti concetti cristiani, come la provvidenza e la redenzione: una provvidenza che sembra non scartare nel suo disegno un personaggio come Gollum; e di una redenzione che non può avvenire (come ad esempio nelle Cronache di Narnia il personaggio di Edmund) se non mediante il sacrificio.

Cosi Aragorn, come anche i quattro bambini del racconto di Lewis, vanno incontro al loro destino.»