Tiziano e la densità dell'istante

02.12.2021

Ci sono pochi artisti del passato “moderni” come Tiziano. È moderno per la grande libertà della sua pittura. Ed è moderno anche per l’approccio sempre molto personale ai grandi soggetti che la committenza gli chiedeva. È il caso per esempio dell’Annunciazione, che Tiziano si trovò ad affrontare cinque volte nell’arco della sua vita: man mano che avanzava nell’età, le opere si facevano più empatiche e insieme radicali.

L’Annunciazione arrivata da Napoli al Museo Diocesano di Milano, come quadro offerto alla città per questo Avvento 2021, è la penultima di quelle dipinte da Tiziano. Venne realizzata intorno al 1560, quando l’artista aveva superato i 70 anni, per la cappella che il banchiere e mercante di seta Cosimo Pinelli si era fatto costruire nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Era stato il figlio Giovan Vincenzo a realizzare il desiderio espresso dal padre nel testamento: essendosi trasferito a Padova per studiare diritto, era riuscito nell’impresa di agganciare il grande Tiziano e di commissionare a lui il quadro per l’altare della cappella dedicata alla Vergine Annunciata (oggi l’opera è conservata al Museo di Capodimonte di Napoli).

Quello che arrivò a Napoli, spedito dallo studio veneziano, era un quadro "nuovissimo". Non siamo in un ambiente chiuso e domestico nel quale gli artisti hanno tradizionalmente ambientato l’Annunciazione. Tiziano dilata enormemente gli spazi, che diventano spazi cosmici, come a sottolineare che quel "sì" che la Vergine sta per dire è un "sì" che coinvolge tutto il creato. L’Arcangelo Gabriele irrompe da sinistra con grazia, ma anche con tanta energia; sull’altro lato, Maria si volta, distogliendosi dal leggìo. Tiene le braccia incrociate al petto, in segno di saluto ma anche di predisposizione all’ascolto del messaggio che Gabriele le sta portando. È il momento che gli antichi predicatori identificavano come la conturbatione e la humiliatione della Vergine. In alto, la colomba dello Spirito Santo si fa largo tra le nuvole, che vengono aperte da una teoria di angeli, in un clima di grande concitazione. Di un’«irriquietezza dei cieli», aveva infatti scritto Roberto Longhi, il grande storico dell’arte che per primo aveva riconosciuto la mano di Tiziano in quest’opera che per tanto tempo era stata creduta una copia dell’originale.

Tiziano, l'Annunciazione
Tiziano, l'Annunciazione

L’innovazione più radicale di Taziano è però nella grande colonna classica che svetta alle spalle di Maria. Com’è noto, nell’iconografia dell’Annunciazione, la colonna posta tra la Vergine e l’angelo simboleggiava l’avvenuta incarnazione di Cristo: nelle tante versioni dipinte da Beato Angelico, questo elemento è una costante. Tiziano reinterpreta con grande libertà quella tradizione, e trasforma la colonna in un elemento grandioso che svetta in direzione delle nuvole, dando l’impressione di legare la terra al cielo. La colonna diventa il segno dirompente del Dio che in quell’istante si è fatto carne.

Quando arrivò a Napoli, il quadro venne accolto con sconcerto per la sua novità. Tanto che il 25 marzo 1562, giorno dell’Annunciazione, dopo la celebrazione della Messa, si tenne una disputa tra Scipione Ammirato, un giovane letterato che contestava l’opera, e Bartolomeo Maranta, chiamato a difenderla per conto del committente. Il discorso di Maranta è arrivato fino a noi ed è un documento di grande interesse sulla vita culturale di Napoli di quel periodo.

C’è infine un altro elemento decisivo nell’Annunciazione di Tiziano, un elemento messo bene in rilievo dall’allestimento studiato al di Milano, che ha accolto questo quadro tra il dicembre 2021 e il 6 febbraio 2022Museo Diocesano: è quello della luce. C’è una luce naturale e temporalesca che arriva da sinistra e un’altra invece improvvisa che scende dall’alto spaccando la coltre di nuvole. È una scelta attraverso la quale Tiziano riesce a restituire tutta la densità e intensità di quell’istante, che non era la realizzazione di un copione già scritto, ma il mettersi in gioco di Maria, con la propria libertà.