ritratto di Mozart

La grande messa in do minore

La Grande Messa in Do minore di W. A. Mozart è una pro-fusione di affetti, fiorita sulla trama solida es-perita di tutta una esistenza musicale.

E' però, come appare dagli scritti del Maestro, il prender forma di un voto, misterioso come ogni voto germinato nell'intimo di un cuore che desiderava Constanze come il dono più grande, anche del dono musicale così evidentemente divino.

Le proporzioni di quest'opera sono una promessa di vastità tale che tende a coincidere con la limpidezza del canto, tale da non poter essere essa adottata nella liturgia cattolica (erano molto più brevi le messe musicali celebrate nelle chiese per grandissime solennità, secondo canoni abbastanza rigidi).

Qui si ha il libero canto di un uomo innamorato che riceve da Dio la sposa, cantante anch'essa, e riceve nuovamente il dono musicale attraverso la voce femminile, come a dare un tocco femminile alla musica come tale.

Quella parola, che solo l'umanità può “dire”, celebrando il Datore della Parola, fu infatti detta con assoluta purezza da una Donna. Sì, amen. E il fiorire immediato di questo Amen fu l'Incarnazione: “Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est”.

Questa parola, che è Avvenimento, perché si riveste di carne, è il centro di tutta la Grande Messa in Do minore.

All'inizio il Kyrie Eleison era un grido di tutta l'umanità : che Dio abbia pietà; ma dopo più tentativi, quasi a cercar di esprimere il senso di quelle parole, scoppia il Kyrie eleison, gridato, venato di abbandono vicino alla disperazione che Dio non senta e non si muova a pietà… ma Cristo sì, Egli si muove a pietà: in Dio c'è un altro Dio (è il grido di Giobbe) che è la verità di Dio stesso: Dio diventa Cristo.

Alle parole del Gloria, parole per lo più dette dagli angeli a giudizio sul mondo (è la Natività) si uniscono dirompenti quelle dell'uomo: nel “qui tollis peccata mundi miserere nobis” c'è una tensione massima del basso continuo instancabile, quasi a significare il grido straziato e straziante dell'uomo che quasi rivendica la misericordia, che non conosce: gli accordi eccedenti, diminuiti - perfetto stile melodrammatico e a soggetto) per più di sette minuti sono il grido dell'uomo in limine mortis. L' uomo ha assaggiato la morte che è risucchiata dalla “seconda morte” e presume di essere risucchiato nel baratro. Adamo implora una Giustizia misericordiosa. Si sente qui già il Requiem…

Una tale situazione era stata anticipata dalla terribile parola “Barrhabas”, quasi un fulmine prolungato all'infinito della Passione secondo S. Matteo di Bach.

Quando cioè la Parola sale dal basso, verso il Cielo, è una struttura di armonie tese, non risolte (quinte eccedenti, ritmo spasimante) mentre quando la Parola scende dal Cielo tutto si fa limpido, perfetto, chiaro, ma caldo dell'amore di un eros compiuto: il Verbo che si fa carne nel grembo purissimo di Maria… allora la Parola è restituita a se stessa: la parola sale dalla creatura pura e incontra la Parola creatrice, come e più che “in Principio”.

Il sì di Maria ricrea la parola, che da mezzo “più povero di materia e più ricco di contenuto” diventa il Compimento della Creazione: Cristo.

Mozart, qualche giorno dopo il matrimonio con Constanze (e per questo componeva già la Grande Messa), scriveva pressappoco così: “Anche prima del matrimonio partecipavamo alla Santa Messa, ci confessavamo ricevevamo la Comunione spesso: ma dopo il matrimonio ciò avveniva con una gioia ed un'esultanza mai provate prima: comprendevamo di essere fatti uno per l'altra”.

Ecco: il mistero dell'Incarnazione diveniva vivido, caldo, pieno nell'incarnazione degli sposi: il mistero si annunciava vividamente nell'amore. Forse per questo l' Et incarnatus est rimarrà uno dei vertici della musica di ogni tempo: perché lì c'è il Verum Corpus…

E tutto nel ritmo sereno, natalizio di una pastorale (in sei ottavi!) dove la voce femminile esprime il palpito germinante del grembo della Vergine.

Il Credo non poteva proseguire: forse Mozart era schiantato dalla stessa rivelazione di questa bellezza che è la Vergine nel suo sì, amen, che si pone come vertice del cammino della storia umana immettendo per sempre nell'universo la ferita d'amore che ciascuno di noi porta, non più rimarginabile, neanche nel Paradiso: là dove quel sì sarà sempre e di nuovo detto in ogni respiro di ogni creatura.

Nell'esecuzione musicale dell' Et incarnatus est dovremmo cadere in ginocchio, perché ridiveniamo figli…

Cfr. anche, del medesimo autore: Mozart, esse e(s)t percipi.