ritratto di Milosz

Milosz, la passione e la regola

pubblicato su Tracce 04/2002

Oscar V. Milosz, autore pressoché clandestino in Italia, cattolico lituano di madre ebrea, esule a Parigi, ha legato il suo nome al Miguel Mañara, autentico capolavoro del Novecento

Strano anno il 1912. Mentre Claudel scriveva L’annuncio a Maria, un poeta di origine lituana e di intricata genealogia, esule a Parigi, metteva mano al Miguel Mañara. E Charles Péguy, anch’egli a Parigi, stava pubblicando il suo Il mistero dei Santi Innocenti.

Strano anno, strane coincidenze, strani fuochi in quel lasso di tempo che precedeva il venir giù della storia nel conflitto mondiale e che vedeva arrivare a Parigi anche il nostro grande Ungaretti e nascere alcuni dei capolavori dell’amore ferito, come La morte a Venezia di Thomas Mann.

Strano fuoco, o forse unico possibile fuoco, per un artista fare i conti con il significato della parola “amore”. Sempre: nel Trecento, quando Dante scrisse la Commedia, nel 1912, e ora. Con la stessa necessaria sincerità, con la stessa urgenza.

Anche il Miguel Mañara e altre due opere in versi per la scena si presentavano come “misteri” al modo del teatro medievale. Ma chi era questo bizzarro lituano, esule a Parigi fin da ragazzo, che era andato a prendere la storia di don Miguel Mañara per farne un personaggio così forte e raccontarne la storia con accento così appassionato?

Ignorato e misconosciuto

«Nel 1939 nel cimitero di Fontainebleau veniva sepolto uno sconosciuto: uno dei poeti più autentici, più insigni della nostra e d’ogni lingua. Uno dei più esia e in America e alcuni lo ritengono uno dei massimi poeti francesi.

A Parigi

Esordì a ventidue anni come poeta (Le poème des décadences) nel 1899, dieci anni dopo essere giunto con i genitori da Czereia a Parigi, poiché il padre, un esploratore, studioso di alchimia e spesso ospite della galera, voleva per lui un’educazione francese e laica. Studia lingue orientali, epigrafia, le traduzioni della Bibbia. Nel ’10 esce il suo romanzo autobiografico: L’amoureuse initiation. Il titolo dichiara quello che sarà sempre il filo conduttore dell’opera e del pensiero di Milosz, l’accesso all’esperienza assoluta dell’amore e il romanzo contiene temi e questioni che troveremo nel Miguel Mañara.

Sono anni di viaggi e di studi. Va in Africa, in Inghilterra, in Germania, in Russia, in Spagna e in Italia, dove nel 1906 confessa che avrebbe voluto stabilirsi («Forse la mia vera patria»), anche per il ricordo di quella nonna «musicista di eccezionale talento a cui rassomiglio in maniera sorprendente» e dove, a Venezia, visse un grande amore di cui ci restano solo le iniziali.

Nel ’14 racconta di aver avuto una «notte di illuminazione» che segna la sua vita. All’attività di scrittore alterna quella di diplomatico in favore della sua piccola patria, la Lituania, che proprio in quegli anni viene riconosciuta come nazione. Quella terra, così presente nella sua opera, come pura essenza, avrebbe detto Valéry, resta un continuo riferimento per Milosz, che tornerà a passarvi anche un lungo periodo dal ’22 al ’24. Questo esule cosmopolita, spiega il nipote, «si differenziava dalla massa cosmopolita odierna nel non voler rinnegare l’eredità degli incroci del sangue». In lui agì sempre la ricerca di una patria, come emblema della situazione spirituale dell’uomo moderno. Poi, la suamente umano, in un’epoca in cui il dualismo figlio dell’umanesimo produce forme di religiosità vaghe e disincarnate, è di coraggiosa attualità esistenziale.