Dante
uno dei massimi poeti del mondo
Francesco Bertoldi
Chi scrive non è un critico letterario, ma un cultore di filosofia, e come tale pubblica alcune brevi considerazioni sulla Divina Commedia; inutile dirlo, senza alcuna pretesa.
la divina Commedia
detrattori celebri
C'è chi la critica pesantemente, anche tra i cattolici: penso a von Balthasar, eminente teologo, ma anche a Giacomo Contri, geniale psicoanalista.
Il primo le rimprovera soprattutto l'Inferno, dove Dante cristallizzerebbe in modo definitivo il destino di buona parte del genere umano; il che va contro l'idea, accarezzata dal teologo svizzero, di una possibile salvezza per tutti gli esseri umani.
Il secondo, che - devo confessare - conosco su questo tema più per frammenti che per un sistematico studio, ha svariate riserve riconducibili in ultima analisi all'uso dantesco di un concetto di natura, un po' troppo ... naturalistico.
Quanto diremo nei cenni seguenti può essere letto anche come risposta a tali obiezioni.
che cos'è la Commedia
Dico che cosa è per me, almeno; sulla scorta soprattutto di un autore, che l'ha saputa leggere con simpatia, Romano Guardini, nei suoi Studi su Dante, tr.it. Morcelliana.
- non si tratta di una presunt(uos)a rivelazione di ciò che ci sarà nell'eternità,
- piuttosto si tratta di una lettura del presente, storico,
- visto però nella sua profonda verità, nel suo rapporto all'eternità
La convinzione che sta alla base è che il presente, nella sua incerta variabilità, acquista pienamente senso solo se rapportato all'eterno, al definitivo.
Ma per fare questo non occorre profetizzare ciò che accadrà alla fine: basta guardare con onestà ciò che è sotto i nostri occhi: l'Inferno è già da adesso, è adesso per quanti disprezzano il Mistero che ci ha creati, e il Paradiso è adesso, per chi accetta l'Iniziativa del Mistero.
Non sto dicendo che non ci siano un Inferno e un Paradiso ultraterreni, ma che di loro abbiamo un convincente assaggio in questa vita, ed è di questo assaggio probabilmente che la Divina Commedia (anzitutto) tratta.
Che Dante nella Commedia parli più del presente che del futuro, nel senso appena spiegato, ci sembra concorrano a dirlo diversi elementi
Se infatti egli parlasse dell'un al-di-là perché pone gli ignavi in una terra di mezzo? Teologicamente ciò non sta in piedi: dopo il Giudizio non si potrà stare che o in Paradiso o all’Inferno.
Inoltre anche il concetto di Limbo come condizione eterna è decisamente discutibile.
Ora entrambi questi concetti rientrerebbero in una logica perfettamente ortodossa, se si immagina il cammino di Dante come un approfondimento dell’al-di-qua, che pur avendo una valenza ontologica, non ha la pretesa di rispecchiare con esattezza le fattezze dell’Oltre, di profetizzare nei dettagli l’Eschaton, quanto piuttosto vuole indicare che la verità delle cose di questo mondo richiede di oltrepassare la solita superficialità con cui le affrontiamo.
In questa direzione vanno anche i seguenti elementi:
- Anzitutto c'è il fatto che Dante prova per molti dannati, specie quelli dei cerchi più alti, un atteggiamento di pietà: per Paolo e Francesca, per lo stesso Ciacco, per Cavalcanti, per Brunetto Latini, forse per lo stesso conte Ugolino: come spiegare ciò, senza implicare una contestazione del verdetto divino, nel caso in cui parli della condizione eterna?
- C'è poi il fatto che Dante indichi dei personaggi precisi, nei tre Regni: pare molto improbabile che egli si creda interprete infallibile di Cristo Giudice. Tale superbia del Dante-auctor infatti striderebbe l’umiltà del Dante-personaggio.
- C’è un altro elemento che mal si inquadra in una pretesa di ricostruzione “realistica” dell’oltretomba: la presenza di personaggi della mitologia classica e l’intreccio ricorrente tra episodi di tale mitologia pagana e i temi cristiani. Forse che davvero Dante pensava che per davvero Virgilio fosse sceso all’inferno? E che all’inferno vi fossero Cerbero, Pluto, le Erinni, la Medusa e via dicendo?
- Ancora: il serpente che tenta nella valletta dei principi; se si è già nell’eternità perché tenta ancora?
- Infine, un altro elemento, che depone a favore dell'interpretazione che propongo, è la severità con cui sono punite le colpe, come se ad importare più di tutto fosse la materia del peccato, e non la sua qualità (intenzione, intensità, durata, motivazioni della colpa stessa e dell’eventuale pentimento): anche nel Paradiso, nel cielo della Luna, v’è chi è eternamente costretto a una minor felicità unicamente per aver peccato in una certa materia (i voti non rispettati).
Così trova risposta l'accusa di von Balthasar: Dante non pretende di “imbalsamare” nessuno, ma guarda la storia (la fede è infatti in un Dio che si è fatto uomo, perciò non deve distogliere gli occhi dalla realtà concreta, storica) con occhi che ne cercano il senso più profondo, oltre l'apparente trionfo dei cattivi e la apparente sconfitta dei buoni.
Se egli cita i nomi e le circostanze di ben precisi personaggi storici non è perché pretenda di definirne davvero il destino eterno, che solo il supremo Giudice conosce, ma perché i loro casi concreti, nel bene o nel male esemplificano, almeno imperfettamente, le grandi scelte che ogni uomo è chiamato a compiere in questa vita.
naturalismo?
Forse questa accusa potrebbe reggere riguardo alle idee politiche di Dante, la cui fiducia nel potere imperiale appare francamente sproporzionata. E potrebbe avere qualche verità anche in qualche altro caso particolare (pensiamo ad esempio alla sua stupefacente, bizzarra stima per Sigieri di Brabante).
Ma nell'insieme ci sembra che Dante rispecchi in modo sostanzialmente corretto il rapporto natura/soprannaturale, quale era stato custodito nella tradizione cattolica a lui precedente: la natura infatti non viene idolatrata, ipostatizzandola in una presunta autosufficienza, ma vista in termini di dinamico orientamento verso un compimento soprannaturale, che solo la gratuita liberalità del Mistero può compiere.
Virgilio (la ragione naturale) guida sì Dante per un lungo tratto (Inferno e Purgatorio), ma
- solo per una previa intercessione di Beatrice e delle altre Donne (dunque per una iniziativa soprannaturale)
- e solo grazie all'intervento dell'Angelo dal ciel messo egli può varcare la soglia della Città di Dite, senza essere pietrificato dalla Megera: solo per grazia cioè l'uomo può guardare alla sua miseria più profonda, andando oltre i suoi peccati più superficiali, quelli passionali;
- e la Grazia (/Beatrice) anima costantemente la speranza di Dante lungo tutto il suo cammino di purificazione, non costituendo perciò solo la spinta iniziale o una meta estrinseca al suo viaggio, ma informando di sé l'intero percorso dantesco.
Certo, Dante è convinto che esista una natura (umana e infraumana) dotata di una sua consistenza e di sue leggi: ma in questo è in ottima compagnia: S.Tommaso, ma anche la corrente “agostinista”.
una corretta gerarchia del male
Non possiamo tacere un altro apprezzabile elemento nella Commedia, ossia la gerarchizzazione del male in base alla lucidità della consapevolezza soggettiva, piuttosto che in base alla materia oggettiva: i peccati passionali (gola, lussuria) sono puniti in modo più leggero, perché minore ne è stata la volontarietà; mentre lo stesso suicidio o la stessa bestemmia contro il Creatore (punito il sabbione infuocato), in quanto imputabili a scelte in cui la passionalità ha comunque inciso fortemente, sono puniti meno duramente del male freddamente premeditato, il tradimento.
📖 Testi on-line
- Inos Biffi, Il luogo dei sogni realizzati, una rilettura del Paradiso dantesco.
- Il Dante di Benigni, interviste a Benigni e a mons. Fisichella
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