ritratto di Tolkien

J.R. Tolkien

la fantasia al servizio della verità

🪪 Cenni sulla vita

John Ronald Revel Tolkien nasce il 3 gennaio 1892 a Bloemfontein, nel Sudafrica, da genitori inglesi originari di Birmingham, Inghilterra. Nel 1894 nasce il fratello Hilary. Morto il padre nel 1896, la madre con i due figli - già rimpatriata l'anno precedente - si sposta da Birmingham al villaggio di Sarehole.

Dalla madre, convertitasi al cattolicesimo nel 1900, Tolkien eredita l'amore per le lingue e per le antiche fiabe e leggende. Nel 1900 Ronald comincia a frequentare la King Edward's School a Birmingham, e dal 1904 - quando muore la madre di diabete all'età di soli 34 anni - Ronald e Hilary vengono educati da padre Francis Xavier Morgan, un sacerdote cattolico, proveniente dalla cerchia dei collaboratori del cardinale John Henry Newman (1801-1890). Il futuro filologo - riferisce il biografo Humphrey Carpenter - afferma: ""Mia madre è stata veramente una martire; non a tutti Gesù concede di percorrere una strada così facile, per arrivare ai suoi grandi doni, come ha concesso a Hilary e a me, dandoci una madre che si uccise con la fatica e le preoccupazioni per assicurarsi che noi crescessimo nella fede". Ronald Tolkien scrisse queste parole nove anni dopo la morte di sua madre. Ci indicano come egli associasse alla madre la propria appartenenza alla Chiesa cattolica. Si potrebbe aggiungere che, alla morte della mamma, la religione prese nei suoi affetti il posto che lei aveva precedentemente occupato. La consolazione che gliene derivò fu sia emozionale sia spirituale".

Tolkien studia poi all'Exeter College di Oxford, sostenendo nel 1913 l'esame di laurea in Lingua e Letteratura inglese. Nel 1916 sposa Edith Bratt, da cui avrà tre figli e una figlia. Durante la Prima Guerra mondiale si arruola nei Fucilieri del Lancashire e viene inviato in Francia. Rimpatriato, in seguito a "psicosi traumatica da bombardamento", ritorna a Oxford nel 1918 dove finisce gli studi, continuando a studiare le antiche lingue e letterature e dedicandosi in particolare al Beowulf. Per due anni collabora alla redazione dell'Oxford English Dictionary.

Dal 1921 Tolkien è lettore e poi professore (nel 1924) di Lingua inglese alla Leeds University. Dal 1925 al 1945 insegna Lingua e Letteratura anglosassone al Pembroke College a Oxford. Nel 1926 incontra per la prima volta C.S. Lewis, anglista e scrittore, e tra i due nasce una profonda amicizia. Insieme fondano il circolo "The Inklings" (che potremmo tradurre con "I Sommessi" o "gli Scarabocchiatori").

Nel 1945, sempre a Oxford, assume la prestigiosa cattedra di Lingua e Letteratura inglese al Merton College, fino al suo ritiro dall'attività didattica nel 1959. Il campo degli studi di Tolkien è quello delle lingue germaniche; per le sue ricerche in questo campo riceve molti titoli onorari, tra cui quello dell'Alto Ordine Britannico, il Cbe (riconoscimento ai meriti professionali), dalla Regina, e il dottorato honoris causa. Tolkien muore il 2 settembre 1973 a Bournemouth.

📔 Opere principali di J.R. Tolkien

Autore di opere scientifiche e di edizioni critiche di testi antichi - come A Middle English Vocabulary, del 1922; l'edizione del manoscritto Ancrene Wisse: The English Text of the Ancrene Riwle, del 1962; il contributo alla traduzione della Jerusalem Bible, del 1966; le edizioni di Sir Gawain and the Green Knight, Pearl, and Sir Orfeo, del 1975, in precedenza pubblicati separatamente; il testo, tradotto e commentato, The Old English Exodus, del 1981; Finn and Hengest: The Fragment and the Episode, del 1982, curato da Alan Bliss; e The Monsters and the Critics and Other Essays, del 1983, curato dal figlio Christopher -, Tolkien è però noto soprattutto per la narrativa, la poesia e la saggistica a queste collegata. In quest'ambito altrettanto vasto, eccellono The Hobbit, del 1937; The Lords of the Rings, del 1968, già apparso in volumi separati fra il 1954 e il 1955; e The Silmarillion, del 1977. A questi si aggiungono Guide to the Names in "The Lord of the Rings". A Tolkien Compass, curato da Jared Lobdell nel 1975, nonché i testi incompiuti e le "prime versioni" che, dal 1983, il terzogenito cura e pubblica nella serie The History of Middle-Earth giunta al nono volume.

Perché il Signore degli Anelli

immagine tratta da Il Signore degli AnelliIn questo breve contributo vorremmo evidenziare alcuni elementi, di carattere piuttosto filosofico-teologico che letterario, che ci hanno colpito. Per poter appieno capire quanto andiamo dicendo sarebbe bene aver già letto qualcosa di Tolkien, o almeno ...accingersi a farlo! Ne vale la pena, perché non si tratta di favole per bambini (anche se la sua lettura non è certo da proibire ad alcuno), ma di opere su cui riflettere. Lo prova anche quello che è per altri versi un limite della prosa di Tolkien, limite che lo differenzia da altri autori di fantascienza (pensiamo in particolare ad Asimov), ossia una certa lentezza dell'azione, l'assenza di colpi di scena spettacolari: segno, ci pare, che ciò che l'autore cerca non è anzitutto un divertimento in senso pascaliano, una evasione dalla realtà, ma piuttosto una rilettura della realtà, che ne sveli il lato normalmente dimenticato, ossia la lotta tra il Bene e il Male.

In questo senso bisogna dire che lo stesso Tolkien ha conosciuto una evoluzione, da Lo Hobbit (1937) alla trilogia de Il Signore degli anelli (1954/5). Nel primo romanzo predomina la dimensione esteriore, materiale, il problema è riconquistare un tesoro, il tesoro dei Nani, loro sottratto dal Drago Smog: obbiettivo di per sé legittimo, ma in fondo abbastanza meschino, comunque particolare, limitato. Nella trilogia invece la posta in gioco è la salvezza del mondo, il trionfo del Bene in lotta totale contro il Male, contro un male che non è solo ingiustizia materiale, ma dominio spirituale degli esseri di cui si impossessa e che lo servono. Se là il massimo del male era l'ingiusto possesso di un tesoro, qui il male si manifesta come volontà di annullare la personalità altrui per farne il docile strumento del proprio perverso potere. Ancora, ne Lo Hobbit i "buoni" agiscono in modo strutturalmente scoordinato, il reciproco aiuto che si prestano, quando se lo prestano, è puramente fortuito, occasionale, e non privo di riserve e di sospetti. Nella Trilogia invece le forze del bene si uniscono cordialmente in una grandiosa, epica alleanza ispirata da toni apocalittici.

Perciò preferiamo soffermarci appunto sulla Trilogia, per coglierne alcuni tratti salienti, come dicevamo.

il male diviso

1. Anzitutto colpisce come le forze del male, pur pilotate da un'unica "centrale", il diabolico Sauron (che a sua volta rimanda a Melkor, "l'Oscuro Signore", creato direttamente da Ilùvatar, l'Essere supremo increato), non riescono ad essere davvero unite. Cosi il fronte del male deve registrare la defezione dello stregone Saruman (cfr. Le due torri, 2° vol. della Trilogia); cosi tra gli Orchetti, servi tremebondi di Sauron, non vi è accordo sul come trattare i "buoni" che sono riusciti a far prigionieri (cfr. Le due torri, cap. 3)

il Bene interpella la libertà

2. Mentre il male è intimamente diviso, costretto al più ad una forzata, esteriore unità, sotto cui si celano odio e invidia, il Bene interpella ad una scelta libera, senza che si possa non dare una risposta, positiva o negativa. L'impossibile neutralità è evidente nel personaggio di Barbalbero. Questi, strana via di mezzo tra un albero e un uomo, vorrebbe tenersi fuori dalla mischia, non stare da nessuna parte:

"Non mi sono mai preoccupato delle grandi guerre (...). A me non piace essere tormentato dal futuro. Io non sono dalla parte di nessuno, perché nessuno è del tutto dalla mia parte" (Le due torri, cap. 4, p.79 ed. Ital. Rusconi)

Ma poi, di fronte all'evidenza delle devastazioni che il Male sta provocando, capisce che deve prendere una posizione netta, e si schiera con il Bene.

Difficile non vedere in questa impossibilità di un naturalismo pasciuto e beota una assonanza col tema agostiniano delle due città, che si fronteggiano in lotta mortale, senza che lembi di terreno possano restare terra di nessuno: qualsiasi azione umana è significativa, non è neutra, concorre alla costruzione della civitas Dei oppure a quella della civitas diaboli.

non rispondere al male col male

3. Altro elemento importante di convergenza col Cristianesimo è il non rispondere al male col male. Cosi le forze del bene usano clemenza, pur non abdicando ad una nettezza di giudizio, nei confronti di personaggi negativi, ma la cui definitiva identificazione col Male non è ancora certa. Ad esempio il perfido consigliere del Re Théoden di Rohan, Vermilinguo, pur riconosciuto come impostore, non viene ucciso, ma semplicemente allontanato dalla reggia; analogamente avviene di Saruman, lo stregone cattivo, dopo la distruzione di Isengard:

"Che cosa farai a Saruman? -Domanda uno dei buoni a Gandalf, loro capo, che risponde cosi:-

Io? Nulla (...) Non gli farò assolutamente nulla." (Le due torri, cap.10, p.211 ed. Ital. Rusconi)

Cosi anche Gollum, personaggio ambiguo, che pur senza essere coscientemente sottomesso al Male, presta al Bene un'obbedienza puramente esteriore, non viene ucciso dai buoni, ma muore per la sua stessa ingordigia (Il ritorno del Re, tr. It. Rusconi, pp. 238 sgg.). Il "buon" Sam, trovandosi di fronte a lui in un drammatico confronto alle falde del "Monte Fato", in un confronto da cui dipendono le sorti nientemeno che del mondo, e sapendo che Gollum non può che ostacolarlo, lo potrebbe ammazzare, ma se ne trattiene:

"La mano di Sam esitò. (...) Sarebbe stato giusto uccidere quell'essere infido e cattivo, giusto e più volte meritato; e sembrava anche l'unica cosa sicura da farsi. Ma in fondo al cuore qualcosa lo tratteneva. Non poteva colpire quella cosa distesa nella sabbia, disperata, distrutta, miserevole." (Op.cit., p.239).

È evidente come Tolkien si allontani dall'impostazione, tipica della mentalità protestante, che tende all'eliminazione dell'avversario, per avvicinarsi invece ad una immagine di misericordia più prossima al cattolicesimo.

il potere

4. Non altrettanto si può dire dell'idea che il Potere sia in quanto tale negativo. Ci riferiamo all'Anello, che appunto conferisce a chi lo porta un particolare potere (la cui manifestazione più clamorosa, ma non unica, è l'invisibilità). I buoni vengono ammoniti a non combattere il Male avvalendosi della forza che loro garantirebbe l'Anello, perché da tale forza non sarebbe disgiungibile un inesorabile e intimo avvelenamento, che li renderebbe sempre più simili a ciò contro cui vorrebbero lottare (cfr. soprattutto ne La Compagnia dell'Anello). Tant'è che poi diviene impellente, per lo schieramento del Bene, l'imperativo di distruggere l'Anello, come difatti accade.

Ora, è certo che Cristo ha detto che il Suo Regno non è di questo mondo, ma ciò non comporta che il potere, pur esercitando una indubbia tentazione, sia necessariamente legato ad una logica negativa. E in realtà non si può nemmeno dire con certezza che Tolkien stesso lo sostenga, dato che si potrebbe intendere la diffidenza nei confronti del potere dell'Anello come diffidenza solo verso un particolare tipo di potere, preter-naturale. Lo proverebbe anche il fatto che la figura del Re (e vari sono i Re che entrano in scena nella Trilogia) è spesso vista positivamente. E se cosi fosse l'insegnamento ricavabile sarebbe perfettamente convergente con la tradizione cristiana, in cui la Potenza di Dio si manifesta, più che in meravigliose stranezze, o in oscure e torbide magie, nella redenzione del quotidiano, nella pacificata capacità di vivere con intensità l'ordinario, il normale. Pensiamo ad esempio a S.Antonio d'Egitto, che appariva a chi andava a trovarlo come un uomo: "il suo aspetto era sempre lo stesso, non era né ingrassato per mancanza di esercizio fisico, né dimagrito per i digiuni e la lotta contro i demoni (..). non era né disseccato dal dolore, né enfiato dal piacere. Non c'era in lui né riso né tristezza; la moltitudine non lo turbava, e la gente che lo salutava non gli dava una gioia smodata: sempre uguale a sé stesso, dominato dalla ragione, naturale." (Vita di Antonio, cap. 14)

il Disegno del Bene

5. Altro fattore importante, emergente già nella Trilogia, ma risaltante ancora di più nell'ultima, e incompiuta opera di Tolkien, il Silmarillion, è quello dell'ultima dipendenza di tutto da un unico Disegno, che è un Disegno buono. Nella stessa Trilogia comunque Gandalf e i buoni sono come guidati da una Mano superiore, mai nominata, ma sempre sullo sfondo, che usa anche del male (Gollum) a fin di bene, come emerge in modo clamoroso nella scena della distruzione dell'Anello: se fosse dipeso dalla capacità della creatura, l'Anello non sarebbe stato distrutto, come era necessario per la salvezza del mondo. Invece accade l'impensabile, che l'Anello venga distrutto non dal virtuoso Frodo, che tale missione esplicitamente si era assunto, ma dall'ambiguo Gollum; questi mirava ad impadronirsi dell'Anello per tenerselo, mentre, dopo esserselo preso (insieme al dito di Frodo), inciampa e precipita nel cratere incandescente del Monte Fato, l'unico luogo al mondo in cui l'Anello avrebbe potuto essere distrutto (cfr. Il ritorno del Re, l.VI, cap. III, Monte Fato).mappa

Ma è soprattutto nel Silmarillion che viene tematizzato in modo esplicito come tutto dipenda da un progetto buono. Anche nel mondo fantastico di Tolkien in effetti esiste un Essere increato, creatore di tutto, Ilùvatar, o Eru. Nulla ci viene detto, è vero, sull'eventuale Sua Trinità: ma non si tratta forse più di discrezione e buon gusto, che di negazione? Non sarebbe stato in fondo irriverente ricalcare esattamente la realtà, una Realtà cosi "tremenda" e inaccessibile come il Mistero Infinito, in quella che infine vuole essere semplicemente una storia fantastica, in quello che per quanto pensato e logico resta pur sempre un mito?

Dunque Ilùvatar crea tutto, a partire da esseri supremi (gli angeli?), gli Ainur, tra i quali c'è anche Melkor, il ribelle, l'orgoglioso (Lucifero?), colui che cerca di guastare i piani del creatore. Questi infatti all'inizio propone loro di eseguire dei temi musicali:

"nel cuore di Melkor sorse l'idea di inserire trovate, frutto della propria immaginazione, che non erano in accordo con il tema di Ilùvatar, ed egli con ciò intendeva accrescere la potenza e la gloria della parte assegnatagli." (Silmarillion, cap. 1, p.12 tr.it.)

Ma Ilùvatar sa come trarre anche da tale male un bene maggiore:

"Ilùvatar parlò e disse: "potenti sono gli Ainur, e potentissimo è tra loro Melkor, ma questo egli deve sapere (..) che Io sono Ilùvatar (...). E tu Melkor È'avvedrai che nessun tema può essere eseguito, che non abbia la sua più remota fonte in Me, e che nessuno può alterare la musica a mio dispetto. Poiché colui che vi provi non farà che comprovare di essere mio strumento nell'immaginare cose più meravigliose di quante egli abbia potuto immaginare" ." (Silmarillion, cap. 1, p.13 tr.it.)

Come non vedere in ciò una trascrizione del paolino "tutto concorre al bene di colro che amano Dio"? Come non ricordare la bella frase di S.Agostino, citata spesso anche da S.Tommaso d'aquino: "In nessun modo Dio permetterebbe che vi fosse del male, se non ne sapesse ricavare un bene ancora più grande"?

Questi, in estrema sintesi, alcuni degli aspetti più positivi che mi hanno colpito nell'opera di Tolkien. Non che manchino anche dei limiti. Ad esempio non si può non notare come l'azione si svolga tutta sul palcoscenico di una oggettività esteriore, senza quasi considerare quella che è vicenda interiore, dramma personale, evoluzione sofferta. Non che i personaggi siano dipinti in modo ruvidamente schematico in buoni e cattivi: esistono sfumature e mescolanze, e talora vengono raffigurate esitazione e lotta interiore, ma senza mai che si possa dare qualcosa di simile all'avvenimento della conversione. La volontà come rapporto ad una scelta morale entra poco nel gioco del racconto. I personaggi non hanno una storia, se non in rapporto a qualcosa di contingente e di esterno, mentre la loro adesione o avversione al Bene viene data scontatamente come fissata una volta per tutte. Cosi vediamo come quasi tutti i protagonisti siano strutturalmente sinceri, e i loro intenti "semplici" ed elementari.

Non dobbiamo però chiedere troppo all'autore: il genere letterario da lui scelto in qualche modo lo obbligava a porre l'accento sulle vicende esterne piuttosto che sul dramma interiore.

In conclusione possiamo ritenere che l'opera di Tolkien sia insieme un interessante testimonianza e una fonte di (vorremmo dire utile) divertimento (almeno per chi abbia una qualche predisposizione al genere fantastico!).

Si possono vedere

📚 Bibliografia essenziale

Articoli

🎬 Filmografìa

Ben fatta è la trilogia de Il signore degli anelli (che include anche lo Hobbit).