una foto dello scrittore

Una raccolta di inediti sulla vita di Vasilij Grossman

intervista a John e Carol Garrard

lunedì 16 febbraio 2009

Esce in Italia per Marietti 1820 Le ossa di Berdicev, l’unica vera biografia di Vasilij Grossman (1905-1964), l’autore di Vita e destino, uno dei romanzi più belli e ignorati del XX secolo. Gli autori sono una coppia di studiosi americani, i coniugi John e Carol Garrard, che hanno sacrificato a questa ricerca quasi dieci anni, passati negli archivi per ricostruire giorno per giorno la vita di Grossman. Ne è risultato un affresco dell’intera storia sovietica, inquietante per la descrizione del potere, commovente per la fragilità e la grandezza degli uomini che in qualche modo vi hanno resistito.

Gli studiosi di Grossman – che si riuniranno a Torino dal 19 al 21 febbraio per il secondo Convegno Internazionale – hanno sempre storie particolari. Tanto per cominciare perché bisogna sapere il russo, e poi perché occorre amare i dissidenti non ideologicamente. L’intersezione dei due insiemi, nell’ambiente intellettuale di tutto il mondo, è una piccola cerchia di studiosi dalla personalità marcata e con giudizi taglienti.

 

Perché avete cominciato a occuparvi di Grossman?

 

È cominciato tutto nel 1988 a Mosca. Eravamo seduti nella cucina dell’appartamento del noto critico letterario Benedikt Sarnov. È stato lui a chiedere a John di scrivere su Vasilij Grossman, perché nessun altro avrebbe potuto farlo: ai russi era proibito perché Grossman ufficialmente era una non-persona. John era uno studioso accademico ben conosciuto ed accreditato e, per di più, conosceva il russo quasi come un madre lingua grazie agli anni passati nei servizi segreti inglesi. Con la sua conoscenza della lingua poteva cercare di ottenere il permesso per consultare gli archivi, avere accesso ai documenti e fare le interviste. Quando abbiamo rivisto Sarnov, tre anni fa al convegno di Torino, abbiamo capito di aver mantenuto la promessa.

 

Grossman ha avuto una vita complessa: è stato lo scrittore di regime, il giornalista amico dei soldati, l’autore di un romanzo sequestrato perché «più pericoloso della bomba atomica», come gli disse Suslov, il garante dell’ortodossia sovietica. Alla fine dei vostri studi che idea vi siete fatti: Grossman era il debole firmatario della petizione contro gli ebrei, l’eroico reporter di Stalingrado o l’ebreo solitario e dissidente?

 

È stato tutte queste cose insieme: lo scrittore di regime, l’eroico giornalista dell’Armata Rossa, l’uomo solitario che sul letto di morte ha rivendicato la sua identità ebraica. Non era un santo: sosteneva i “valori familiari”, eppure per due volte ha avuto relazioni con mogli dei suoi amici. Ma era un uomo coraggioso, che ha camminato tra le fiamme del proprio secolo ed è venuto fuori con l’anima intatta.

Non è stato una spia, non è stato un informatore, non è stato un traditore. Era un uomo di estremo coraggio, fisico e morale. Ha mantenuto la sua umanità, mentre egli stesso veniva minacciato e spiato dallo stato sovietico, e veniva denunciato e tradito dalla gente in cui lui confidava, incluse le persone più vicine.

Per quanto complicata e ambigua sia stata la sua esistenza egli è stato innanzi tutto e soprattutto un uomo d’onore.

 

Qual è l’episodio per voi più significativo e sintetico della vita di Grossman?

 

Senza dubbio l’episodio più significativo della vita di Grossman è stato l’assassinio della madre, Ekaterina Vasil’evna, avvenuto insieme a quello di altri 20.000 ebrei tra il 15 e il 16 settembre 1941 a Berdicev, la città natale dello scrittore.

Per tutta la vita Grossman ha rivissuto nella sua mente quei giorni orribili. Incolpava se stesso di non aver agito con decisione per riportare la madre a Mosca. Per questo divenne un altro uomo: l’uomo di estremo coraggio fisico che quasi cercava la morte nei combattimenti di Stalingrado. A sua madre è dedicato il suo capolavoro, Vita e destino. Alla fine della vita stava ancora pensando a lei chiedendo di essere sepolto in un cimitero ebraico. Morì il 14 settembre, per Grossman la vigilia del giorno più terribile di ogni anno. Berdicev è il filo che tiene insieme le complicate matasse della sua vita.

 

Di Vita e destino impressiona la sensibilità a ogni aspetto della realtà. Da dove gli veniva questa profonda sincerità con la realtà?

 

La sincerità di Grossman deriva dalla sua libertà interiore. Aveva perso il rispetto per se stesso perché, cedendo alla moglie, allo scoppio della guerra non era corso a Berdicev a prendere la madre per portarla a Mosca. Saputa la morte della madre, non gli rimaneva più niente da perdere. Cambiò letteralmente vita: la vita dell’uomo dei compromessi e del carrierista che voleva farsi strada nell’URRS. Per dirla con le parole del suo alter ego in Vita e destino, Viktor, volle dimostrare di avere “un po’ della tua forza, Mamma”. Da quel momento cercò di dire la verità sull’olocausto e sull’esperienza dei suoi commilitoni, i soldati ordinari dell’Armata Rossa, gli “Ivan” il cui coraggio a Stalingrado ha cambiato la storia. La sua sincerità deriva dal suo rifiuto del compromesso. Non gli importava più nulla eccetto la verità perché la persona che l’aveva amato incondizionatamente, sua madre, era morta e lui ne era colpevole. Il suo coraggio derivava dall’aver già sofferto il peggio: doveva spendere la vita per espiare la sua colpa.

 

In questa ricerca avete incontrato molte persone che hanno conosciuto, amato, odiato Grossman. Che cosa ha lasciato Grossman? Che cosa ha lasciato a voi?

 

A chi lo conobbe personalmente e a noi che l’abbiamo conosciuto tramite i libri Grossman ha lasciato un compito. Egli richiama tutti gli uomini d’onore alla battaglia finale della Seconda Guerra mondiale: la battaglia della memoria. Grossman dice di non dimenticare mai, andando avanti senza cedere né alle negazioni né all’angoscia che non si stempera in catarsi.

Dobbiamo farlo, perché anche noi abbiamo di fronte un secolo-lupo (per usare l’espressione di Mandelštam) e anche noi dobbiamo decidere se acquattarci zitti e buoni quando le scelte si fanno difficili oppure prendere le nostre responsabilità nella storia, per essere sicuri che le tragedie del XX secolo non si ripetano.

Personalmente, a Tucson noi facciamo gratuitamente delle conferenze sull’Olocausto e abbiamo costruito un database delle vittime del ghetto di Brest-Litovsk (jewishgen.org/databases/brest/html). Ma il ruolo centrale lo gioca il Centro Studi Vita e Destino di Torino che, anche attraverso la traduzione del nostro libro, sta portando Grossman in tutto il mondo. La nostra speranza per il destino del mondo, anche quando saremo morti, è che il Centro Vita e Destino estenda a tutti il messaggio di Grossman, le sue risposte alle accorate domande dell’esistenza umana.

da Il Sussidiario.