una foto dello scrittore

Vita e destino

una sintesi e alcune interviste sul capolavoro di Grossman

La storia del libro perseguitato dal Kgb

Parla l’editore che per primo stampò il capolavoro del dissidente Vasilij Grossman «Vita e destino»

di Marina Gersony

Vasilij Grossman è uno degli scrittori sovietici più importanti (e ignorati) del XX secolo, nonché testimone della coscienza collettiva europea. Dopo molte traversie, solo oggi ottiene il giusto riconoscimento nel panorama letterario internazionale. La sua opera principale, Vita e destino, è sopravvissuta grazie a una vicenda rocambolesca degna della trama di un film.

«Sapevo dell’esistenza del libro, ma all’epoca non sapevo dove fosse il manoscritto» racconta oggi Vladimir Dimitrijevic, classe 1934, macedone di nascita, vissuto a Belgrado sotto Tito, in fuga prima a Neuchâtel, poi a Losanna, il primo editore a pubblicare l’opera di Grossman e attualmente direttore dell’Age d’homme, la casa editrice da lui fondata cui si deve una tra le più rappresentative collane di classici slavi (con Adelphi ha pubblicato La vita è un pallone rotondo, 2000). «Nel 1979 - spiega Dimitrijevic - insieme al mio amico Efim Etkind (illustre filologo, cacciato dall’Urss per avere aiutato Solženicyn, ndr), venimmo in possesso del romanzo di Grossman. Ci rendemmo subito conto di avere della dinamite in mano». L’editore racconta di come si materializzarono in Svizzera due manoscritti distinti e incompleti, di cui una copia era uscita fortunosamente dagli archivi del Kgb di Mosca grazie allo scrittore Vladimir Voinovich e ad Andrei Sacharov.

«Si trattava - prosegue - di un microfilm di pessima qualità. Ho trascorso due mesi a ricostruire pagina per pagina, all’incirca un migliaio. Da allora metto gli occhiali. Portavo il microfilm sempre in tasca, giorno e notte. All’epoca la gente sospetta veniva sorvegliata e poteva anche sparire nel nulla. Erano tempi in cui si rischiava grosso. Il manoscritto di Grossman era sulla lista nera del Kgb, ed Efim ed io eravamo le uniche persone, insieme a un altro russo dissidente, a sapere della sua esistenza». Infine il libro fu pubblicato in russo con grande clamore. «Alla Fiera di Francoforte - ricorda ancora Dimitrijevic - alcuni sovietici erano talmente stupefatti che non osavano avvicinarsi a me. Era come se una meteora fosse caduta sulla loro testa». Seguì l’edizione in francese e con essa il riconoscimento dell’opera in tutto il mondo.

Ma chi era Grossman, l’ingegnere nato a Berdicev nel 1905 che iniziò la carriera pubblicando romanzi brevi di successo con l’incoraggiamento di Gorkij? Come molti della sua generazione, aveva aderito allo stalinismo con un entusiasmo totalizzante che traspariva in tutte le sue opere, nonostante Stalin lo considerasse poco a causa delle scarse citazioni riservategli dall’autore. Grossman aveva una fede cieca nei confronti del comunismo, vissuto come la formula perfetta per «un’umanità felice»; una visione che lo portò perfino a sopportare alcuni «mali necessari», come l’arresto di amici, parenti e personaggi pubblici. Fu questa sua visione ideale del comunismo a portarlo in guerra, come cronista dell’Armata rossa. Nelle file sovietiche partecipò alla battaglia di Stalingrado, e lì percepì e descrisse il senso di fratellanza che permise ai russi di resistere al soverchiante esercito nazista. Sono questi i temi che lo spingono a immaginare una grande opera in due parti, nella quale voleva mettere il suo profondo entusiasmo per il comunismo. Per una giusta causa è il titolo della prima parte, che uscì nel 1952.

A questo punto qualcosa si ruppe nel suo idillio con lo stalinismo. Ebreo lui stesso (fu tra i primi a entrare nel campo di concentramento di Treblinka dove scoprì che la madre era stata trucidata dai nazisti), Grossman capì che la persecuzione degli ebrei iniziava a insinuarsi subdolamente anche in Urss. La seconda parte del suo capolavoro, Vita e destino (l’unica edizione italiana è del 2005 per i tipi della Jaca Book), sovverte quindi i risultati della prima: non sono solo i comunisti giusti a battersi contro l’unico male assoluto del nazismo. La nuova tesi è che il male si annida ovunque ci sia dell’ideologia.

A opera completata, affidò il romanzo alla rivista Znamia, il caporedattore lo trasmise al Kgb che nel 1961 sequestrò tutti gli esemplari, le minute, perfino i nastri della macchina da scrivere e la carta carbone. Lo stesso tipografo che doveva stampare il volume venne bastonato. «Non è corretto - spiega Dimitrijevic - dire che il libro sia soltanto la sintesi del fallimento di due ideologie. Il proposito di Grossman, a mio avviso, è di dire come alla fine l’umanità abbia potuto resistere a questi totalitarismi. In questo senso è un libro moderno, che ci riguarda. Grossman non era un idealista, era un uomo che aveva degli ideali, una cosa ben diversa. Si era lasciato sedurre dal comunismo perché pensava che fosse la cosa migliore per l’umanità. Ma lui personalmente era un uomo al di sopra della cattiveria del mondo».

Grossman non sopravvisse a lungo alla tragica scomparsa della sua opera e morì nel 1964. Mai e poi mai avrebbe immaginato che Vita e destino sarebbe riapparso con tutti gli onori e le glorie.


Il testo che segue è del 2006

Comunismo e nazismo, le terribili analogie tra Stalin e Hitler

Una mostra e un convegno dedicati all’autore della grande epopea su Stalingrado, censurato e perseguitato dal regime sovietico

Il «caso Grossman» è forse il più strabiliante tra i tanti, tragici e grotteschi, di cui sono state ricche le letterature dei regimi comunisti e, in primo luogo, quella sovietica che, sullo sfondo grandioso di un fulgido avvenire, conosceva in realtà un’esperienza fatta di assurdità e soperchierie. In questo mondo si formò Vasilij Grossman che, nato nel 1905 a Berdicev, centro ebraico per antonomasia, seguì poi il curricolo di altri ebrei radicati nella cultura russa e integrati nella realtà sovietica. Dopo aver ultimato gli studi universitari a Mosca alla facoltà di Fisica e matematica e aver lavorato come chimico nel Donbass, Grossman esordì come scrittore nel 1934 e si affermò sempre più nell’ambito del «realismo socialista» come una delle migliori penne della letteratura sovietica.

Per Grossman, la cui narrativa pur con i suoi meriti rientrava nella media della produzione letteraria di quel tempo, una svolta decisiva al suo destino fu impresso dalla guerra antinazista, alla quale egli partecipò come corrispondente del giornale dell’esercito Stella Rossa , guadagnandosi nuova popolarità e distinguendosi per la prima documentazione sui campi di sterminio e sui massacri antiebraici nazisti (il suo scritto Lo sterminio degli ebrei a Berdicev , del 1944, resta ancor oggi esemplare). Avveniva intanto nell’Urss quell’inversione di tendenza, nota come «antisemitismo di Stato», per cui gli ebrei sovietici entravano nel mirino della nuova ondata repressiva del regime, nel momento stesso in cui essi, sotto l’influsso della guerra antinazista alla quale molti di loro come Grossman avevano partecipato valorosamente, scoprivano dentro di sé le radici ebraiche prima obliate. Per Grossman la seconda guerra mondiale significò, tuttavia, molto di più di una riscoperta di una semiticità atrocemente perseguitata: per lui, come per altri, attraverso quell’esperienza tragica, si apriva un nuovo umanesimo, una visione che spezzava gli schemi dell’ideologia marxista-leninista, anzi ne vedeva la falsità, se non la criminosità.

Alla guerra Grossman dedicò nel 1942 un romanzo intitolato Il popolo è immortale e, dieci anni più tardi, un’epopea di grande respiro, Per la giusta causa , che restò alla sua prima parte, anche perché colpita da una critica ufficiale che allora, nella campagna ideologico-poliziesca contro il cosiddetto «cosmopolitismo», menava fendenti anche contro «deviazioni» inesistenti .

Intanto però il processo di maturazione di Grossman proseguiva, favorito anche dalla morte, non solo fisica, ma etica e politica di Stalin, dopo il 1956: si trattava di una vera e propria metanoia , di una illuminazione e liberazione interiore che lo portò ai suoi ultimi due romanzi: la continuazione (in realtà si trattava di un’opera del tutto nuova) di Per la giusta causa , il romanzo Vita e destino , e il più breve romanzo Tutto scorre... , in un certo senso complementare al primo. Questi due testi, pubblicati in russo dapprima in Occidente (il primo nel 1980 e il secondo nel 1970), gli valsero la prima vera persecuzione da parte del regime, anzi, per essere più precisi, un duro ostracismo, dati i tempi meno inclementi di quelli staliniani, una proibizione censoria, ovviamente, alla pubblicazione in patria di quei due testi (il dattiloscritto fu sequestrato dal Kgb, ma una copia giunse fortunosamente in Occidente), davvero scandalosi dal punto di vista dell’ideologia al potere, e il pressoché totale isolamento dello scrittore, il che influì sulla sua morte nel 1964.

Chiusa l’esistenza di Vasilij Grossman, cominciò il trionfo del suo capolavoro. Vita e destino , in particolare, divenne l’opera narrativa maggiore che in russo fosse stata scritta sulla «grande guerra patriottica», come i sovietici chiamavano, dal loro punto di vista, la seconda guerra mondiale. Ed era un paradosso intollerabile per i nazionalisti russi, comunisti o no, che a scrivere la più alta epopea su Stalingrado, momento cruciale militare e simbolico dell’immane conflitto, fosse un ebreo, per di più dissidente ante litteram. Uno scrittore ebreo e russo che proclamava l’aspirazione alla libertà come insopprimibile supremo valore dell’uomo, un valore che Grossman lucidamente vedeva affermato nell’antifascismo autentico, quindi non in quello comunista, che anzi per lui era una nuova mascheratura di un’ideologia totalitaria, nemica della libertà, della quale il nazionalsocialismo costituiva l’altra manifestazione.

Vita e destino è un’opera così vasta e profonda e ricca di figure e significati che limitarla alla tesi di una equiparazione sostanziale tra i due totalitarismi del XX secolo sarebbe riduttivo, anche se indubbiamente il surreale colloquio tra un alto esponente della dirigenza nazista, convinto che i due nemici totalitari siano in realtà carne della stessa carne, e un rappresentante del regime comunista sovietico sta al centro dell’opera. Al di là di questo colloquio, è tutta la complessa struttura del romanzo che illustra la verità di quell’allucinante dialogo, mentre le pagine più alte esprimono quell’anelito alla libertà che era sentito fino al sacrificio dagli autentici combattenti antifascisti sovietici, inevitabilmente anticomunisti, dato che dal regime quell’anelito veniva inesorabilmente soffocato.

Anche il romanzo minore Tutto scorre... , storia di un reduce dai lager staliniani che urta contro l’abiezione della realtà sovietica e svolge una lunga riflessione sulla storia russa e sulla rivoluzione comunista, provoca nuovo «scandalo» per la durezza della sua critica del passato storico russo in quanto nemico della libertà. Va detto che, come nel caso di Vita e destino, anche con Tutto scorre... ci si trova di fronte non ad opere storiche o filosofiche, ma a narrazioni, il cui pur forte pensiero si manifesta in strutture letterarie fatte di situazioni e personaggi. Per cui, come nel caso dell’equiparazione tra comunismo e nazismo in Vita e destino , la verità del confronto non può esimere dal riconoscimento delle diversità delle due esperienze totalitarie, pur accomunate da strutture formali e pratiche criminose, così in Tutto scorre... la riflessione del protagonista sull’«anima russa» come spiegazione della tragedia sovietica non può surrogare una riflessione storica approfondita (il ricorso all’«anima tedesca», analogamente, non spiegherebbe la tragedia tedesca del nazismo).

Un pensatore politico, che forse Grossman non conosceva direttamente, previde genialmente a metà del XIX secolo quello che Grossman, come altri prima di lui, conobbe nella realtà. Si tratta di Giuseppe Mazzini che nel 1847, parlando della democrazia europea, in polemica coi comunisti, allora solo teorici, scriveva: «Avrete una gerarchia arbitraria di capi con l’intera disponibilità della proprietà comune, padroni della mente per mezzo di un’educazione esclusivista; del corpo per mezzo del potere di decidere circa il lavoro, la capacità, i bisogni di ciascuno. E questi capi imposti o eletti, poco importa, saranno, durante l’esercizio del loro potere, nella condizione dei padroni di schiavi degli antichi tempi; e influenzati essi medesimi dalla teoria dell’interesse che rappresentano - sedotti dall’immenso potere concentrato nelle loro mani - cercheranno di perpetuarlo; si sforzeranno di riassumere, per mezzo della corruzione, la dittatura ereditaria delle antiche caste».

Vita e destino e Tutto scorre... di Vasilij Grossman sono una conferma vissuta di questa ardita previsione e insieme un’alta prova di resistenza e libertà.